Essere custodi della bellezza e della storia. Intervista con Alessandro Goppion

Essere custodi della bellezza e della storia. Intervista con Alessandro Goppion

Intervista a cura di Marco Vergeat, pubblicata sul numero di giugno-luglio di formaFuturi

Con il suo lavoro Goppion Technology protegge i tesori e la memoria dell’umanità. Siamo di fronte a un’eccellenza italiana riconosciuta nel mondo. Ce la siamo fatti raccontare dal suo Presidente e Amministratore Delegato, Alessandro Goppion, protagonista di questa conversazione con Marco Vergeat avvenuta lo scorso 19 giugno in occasione del conferimento all’imprenditore dell’ASFOR Award for Excellence 2024

Nell’ambito delle eccellenze italiane, Goppion Technology si distingue per la produzione di teche museali e vetrine espositive che custodiscono alcune delle opere d’arte più preziose al mondo. I prodotti dell’azienda di Trezzano sul Naviglio (MI) proteggono, solo per citare i casi più eclatanti, i gioielli della Corona d’Inghilterra nella Torre di Londra, la Gioconda di Leonardo da Vinci, la Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti, il cartone della Scuola di Atene di Raffaello, la Pietà Rondanini di Michelangelo, i Rotoli del Mar Morto, la Dichiarazione di Indipendenza americana, la Bibbia di Gutenberg e molte altre opere di ineguagliabile valore. Persino il computer quantico di IBM, che opera a -273 gradi in totale assenza di vibrazioni, trova protezione all’interno delle innovative soluzioni progettate da Goppion. Grazie alla capacità tecnica e inventiva di Alessandro Goppion, Presidente e Amministratore Delegato dell’azienda, questa realtà del “Made in Italy” si è posizionata ai vertici di un settore che richiede una perfetta combinazione di competenza meccanico-ingegneristica accompagnata da una profonda conoscenza del patrimonio artistico-culturale e da una sensibilità estetica adeguata al valore delle opere esposte. Un’unicità che ha fatto da fil rouge alla conversazione che ho avuto con l’imprenditore, avvenuta lo scorso 19 giugno a Torino in occasione del conferimento dell’ASFOR Award for Excellence 2024, riconoscimento con cui l’Associazione Italiana per la Formazione Manageriale celebra l’eccellenza nel campo dell’imprenditoria e del management.

La vostra è una storia lunga e affascinante. Fondata a Milano da suo padre, l’ingegner Nino Goppion, l’azienda nasce agli inizi degli Anni ’50 come piccola bottega di vetrai. Oggi le vostre teche sono all’interno delle più importanti istituzioni culturali del mondo dove proteggono quelli che potremmo definire i tesori dell’umanità.  Come è avvenuta la transizione dall’azienda delle origini a quella attuale, un’eccellenza riconosciuta a livello globale?

Sicuramente un elemento che ha inciso è stata la mia inclinazione umanistica. Mi sono innamorato della Storia delle Idee e della Storia delle Dottrine politiche e ho trasferito questa mia passione nelle vicende imprenditoriali della mia famiglia. Ho unito questi due aspetti, mettendo a disposizione la nostra organizzazione a quelle persone che “costruendo” la storia attraverso la creazione dei musei avevano bisogno di un supporto pratico per lo sviluppo delle loro attività. Questa transizione è avvenuta gradualmente, grazie a un mix di competenze specifiche, innovazione e collaborazioni con importanti istituzioni museali in tutto il mondo. La nostra evoluzione è stata guidata dalla passione per la conservazione del patrimonio culturale e dalla volontà di innovare continuamente. Questo approccio ci ha permesso di dare il nostro contributo alla creazione di spazi espositivi che non solo proteggono le opere, ma migliorano anche l’esperienza del visitatore.

Quando si parla di biblioteche, archivi e mostre temporanee, si fa riferimento a qualcosa che tutti noi abbiamo sperimentato con vari livelli di interesse e di profondità. Tuttavia, molti ancora oggi confondono tutto ciò con l’intrattenimento. Non so quanti si siano davvero interrogati sui diversi significati insiti nella conservazione del patrimonio artistico e culturale, e quindi sul valore della memoria…

È un tema molto complesso perché include riflessioni sulle modalità di elaborazione della storiografia e quindi su quanto un museo come luogo pubblico della storia possa essere più o meno rappresentativo di interpretazioni specifiche. Un museo che diventa anche luogo di attuazione di progetti politici. Questo naturalmente varia da Paese a Paese, da contesti geopolitici e culturali specifici. Tali argomenti si potrebbero affrontare da infiniti punti di vista: politici, storiografici, conservativi, interpretativi. Per quanto riguarda la mia parte di lavoro, io altro non sono che uno delle migliaia di italiani che fanno il proprio dovere andando in giro per il mondo a costruire quello che è utile a chi me lo chiede. Io faccio questo e lo faccio sfruttando un territorio straordinario che è quello lombardo, dove ci sono risorse manifatturiere e intellettuali che messe a sistema possono dare dei risultati incredibili.

Ci sono tre valori a cui Lei fa sempre riferimento in Goppion e sono la conservazione, la leggibilità e lo spazio. Le persone che non si occupano in maniera specialistica di questo campo, quando vedono una vetrina, si soffermano solo sugli aspetti estetici, ma non si rendono conto della complessità di questi sistemi. Ritengo che si riesca ad assumere una maggiore consapevolezza di questo solo se si capisce proprio cosa c’è dietro questi tre valori…

Qualsiasi approccio analitico applicato alla realtà è in qualche modo artificiale, ma è utile per comprendere meglio il nostro lavoro. Faccio una premessa: a me continuano a interessare le persone. Io sono un umanista, le persone stanno al centro dei miei interessi. Dunque, proverò a rovesciare il tema e parto da un interrogativo: cosa vuol dire conservazione? Conservazione significa garantire alle persone di domani di poter accedere al patrimonio culturale e di essere messo in condizione di disporne perché, se noi non lo salvaguardiamo, andrà perso. La conservazione è la cosa più importante di tutte. Ci sono studi infiniti di interpretazione, ma le interpretazioni cambiano nel tempo, come la storiografia, quello che resta sono gli oggetti che sono le testimonianze del passato. Quindi la conservazione è sacra ed è la cosa più importante di tutte. Questo implica non solo proteggere gli oggetti dagli elementi fisici e chimici, ma anche garantire che siano conservati in condizioni ottimali. Ad esempio, negli ultimi anni abbiamo combattuto contro i cosiddetti VOC (composti organici volatili, ndr) che possono danneggiare le opere. Poi c’è la leggibilità, che vuol dire offrire degli oggetti in esposizione ogni sfaccettatura possibile perché il visitatore si faccia delle idee compiute rispetto quello che sta guardando, al netto dell’interpretazione. L’ultima cosa è lo spazio. Io la metto molto semplice: il museo universale rappresenta oggi più che mai un aspetto fondamentale. Progettare lo spazio significa creare un ambiente fisico accessibile per tutti e all’interno del quale i visitatori, tutti i tipi di visitatori, stiano bene e non si infastidiscano a vicenda.

Il museo è una zona di confine fra passato e futuro. Conserva il passato, ma nello stesso tempo offre significati e chiavi interpretative per il futuro. Come evolverà il ruolo del museo e più in generale quello dei luoghi della memoria in rapporto alla tecnologia, tenendo conto del fatto che oggi ci sono architetti che teorizzano una “virtualizzazione” dell’esperienza?

Cerco di rispondere in modo diplomatico. Non credo nella “virtualizzazione” degli spazi espositivi. Nega cinquecento anni di storia museale. Gli oggetti sono la cosa più importante, come i testi, se non hai gli originali cosa fai? Questo perché nel tempo quegli oggetti possono disvelare conoscenze nuove o essere riscoperti. Tutti i giorni abbiamo notizie di depositi da cui emerge un quadro o un’opera che non si pensava di quel determinato grande autore. Mi chiedo solo come si possa pensare al museo puramente virtuale!

Nel vostro lavoro, vi attivate limitandovi a seguire le direttive che vi arrivano dai committenti o ci sono delle fasi di co-progettazione?

In realtà, non esiste una risposta netta, non c’è il bianco o il nero, ma un’intensità di grigi che tutte volte varia. La modalità di collaborazione può cambiare molto a seconda dei casi. Il nostro lavoro ci mette a confronto con una molteplicità di discipline. Prima di tutto ci sono la storia e la storiografia e io non faccio lo storico. Poi c’è la museologia, che comprende gli studi applicativi della storia in un contesto museale. C’è quella che viene chiamata museografia nel contesto europeo ed è conosciuta come exhibition design nel mondo anglosassone, che si traduce nella trasposizione delle idee dei museologi nello spazio fisico del museo stesso. Naturalmente ci sono le parti essenziali per noi che sono quelle delle conservation science. Si tratta di tutte quelle conoscenze e pratiche che bisogna applicare agli oggetti perché questi, una volta esposti al pubblico, siano in condizioni di sicurezza. Inoltre, naturalmente, c’è l’uso delle costruzioni che non hanno solo a che fare con la praticità per sé, ma anche con la praticità per la conservazione. Tutte queste discipline sono declinate nei vari istituti in maniera diversa. Questo dipende dalla cultura dell’istituto stesso, dalla sua dimensione e dalle risorse disponibili. Quindi, il nostro approccio è flessibile e si adatta alle specifiche esigenze di ogni progetto e istituzione. Formalmente io sono uno specialista in engineering design, manufacturing and installation process, per me la transizione dall’idea alla realtà passa attraverso l’ingegneria, che è il mio campo specifico di azione.

A proposito di competenze, come assume le persone in Goppion?

Ho capito che ci sono delle competenze specifiche necessarie, che ognuno di noi ha e mette in campo quando si tratta di aprire un rapporto di collaborazione, ma nel nostro caso credo che la pregiudiziale sia quella di essere interessati alla storia e al mondo dei musei. Perché, se manca questo interesse tutto perde di senso. Credo che in ogni ambito lavorativo ci debba essere una quota di riconoscimento del sé in quello che si andrà a fare. È l’elemento che consente di affrontare le complessità, le difficoltà e le frustrazioni che è inevitabile incontrare in qualsiasi percorso professionale. Quindi se non c’è passione non c’è nulla e se non c’è nulla è inutile anche iniziare.

Fra artigiani in sede, quelli che lavorano all’interno dei musei in giro per il mondo e i co-maker, la vostra azienda può contare su un network di circa trecento professionisti. Quanto è importante il rapporto con i vostri artigiani, anche in termini di fidelizzazione?

È importantissimo. Per mia formazione culturale guardo sempre alle persone come portatori di conoscenza. Cosa sa fare un artigiano e cosa può insegnarmi, qual è il suo contributo. Il mio rapporto nei loro confronti è di subalternità culturale, perché loro ne sanno tantissimo, infinitamente più di noi in molti casi.

Avete fatto evolvere una produzione che si fonda su una forte artigianalità nella direzione di una logica industriale. Goppion affonda le radici dentro una tradizione fatta da vetrai, carpentieri, falegnami, marmisti, ma non rappresenta solo un’eccellenza di prodotto, ma anche di processo. Come convivono queste due anime?

Parto da un fatto concreto: noi abbiamo attuato la transizione dalla carpenteria fine di precisione alla meccanica con assemblaggi a secco. Nel nostro Paese c’erano magnifiche officine specializzate nella lavorazione della lamiera, per 50 anni siamo andati avanti in quel modo. Poi lo scenario è cambiato. I carpentieri ormai disponibili sulla piazza non erano più in grado di fare il nostro mestiere. C’è un momento nel quale un imprenditore e chi lo consiglia capisce che è finita un’epoca. Allora ti rendi conto che bisogna in qualche misura trattenere tutte le conoscenze che si sono elaborate attraverso delle pratiche manifatturiere di un certo tipo e riversarle in nuove modalità realizzative. Nel nostro caso ha significato passare dalla carpenteria, che portava con sé dei difetti di forma e dimensione, a delle costruzioni realizzate mediante taglio laser e assemblaggi meccanici che risolvevano il problema di “degrado” artigianale e manifatturiero. Questo è il motivo per cui Goppion ha un numero enorme di brevetti. Un tale percorso ci ha portato a rivoluzionare il concetto di personalizzazione, consentendoci di realizzare, attraverso una modularizzazione dei prodotti, “pezzi unici” in un contesto industriale.

Goppion fa il 95% del suo fatturato all’estero, i vostri artigiani sono al lavoro in alcune delle principali istituzioni culturali del mondo, ad esempio attualmente siete impegnati all’interno del Metropolitan Museum di New York. Vincete gare con importanti concorrenti internazionali. Qual è a suo avviso il vostro punto di forza?

Quando vinco un appalto credo che l’elemento fondamentale sia la passione. I miei clienti riconoscono il valore del commitment, loro sanno che possono sempre contare su di me. Questo fa la differenza.

Per concludere, vorrei parlare di nuove generazioni: alla luce della sua esperienza umana e imprenditoriale quale consiglio darebbe ai nostri giovani?

Di cambiare Paese. Io l’ho cambiato, nel senso che, se faccio il 95% del mio fatturato all’estero, di fatto io vivo da altre parti. È necessario per far quadrare le cose. Tuttavia, al di là della provocazione, se dovessi dare un consiglio basato sulla mia esperienza, direi di esplorare per individuare quei punti di forza che il nostro Paese è in grado di vantare e che vengono riconosciuti all’estero. Le nostre giovani e i nostri giovani dovrebbero far leva su queste qualità distintive italiane per emergere nel mondo, rivolgendosi a una platea internazionale più ampia e in grado di generare maggiori opportunità. Questo non dovrebbe essere visto come un limite, ma come una risorsa da valorizzare.

IL PERSONAGGIO
Alessandro Goppion è nato a Milano nel 1955. Ha studiato Storia e Scienza della Politica. Dal 1977 lavora nell’azienda di famiglia Goppion, attiva nella produzione di teche e vetrine espositive dal 1952. Nel 1985 crea la sezione Forniture Design che, grazie alla collaborazione con gli architetti Afra e Tobia Scarpa, nel 1990 vince il Design Awards di New York. Interessato alle relazioni fra storia delle idee, antropologia e architettura, trasferisce questa passione nel proprio lavoro imprenditoriale volgendo la sua attenzione al mondo dei musei. Il risultato è l’istituzione del Laboratorio Museotecnico Goppion, che vede la luce nel 1984 affermandosi come spazio per la sperimentazione aperto a curatori museali, architetti ed exhibit designer, restauratori e tecnici della conservazione. Tramite il Laboratorio, Alessandro Goppion stabilisce contatti con i maggiori architetti ed exhibit designer del mondo, a cui fornisce le soluzioni tecnico-costruttive per la realizzazione dei progetti. Dal 1993 diviene Amministratore unico di Goppion, consolidando l’internazionalizzazione dell’azienda che si afferma come leader nella realizzazione di vetrine da esposizione e nelle costruzioni museali, nonché nella realizzazione di supporti espositivi. L’azienda diviene progressivamente punto di riferimento per i più prestigiosi musei del mondo. Riceve numerosi e importanti riconoscimenti internazionali. Le vetrine Goppion e i vari componenti espositivi oggi espongono le collezioni dei più importanti musei del mondo, al Musée du Louvre al Metropolitan Museum of Art di New York, dal Getty Research Institute al Victoria & Albert Museum, dal National Museum of Islamic Art del Cairo al Museum of Fine Arts di Boston, dallo Shanxi History Museum di Xi’an, in Cina, Al Tokyo National Museum. Alessandro Goppion ha tenuto lezioni in numerose università in Italia e nel mondo. Ha fondato la collana Annali del Laboratorio Museotecnico e realizzato altre pubblicazioni letterarie e tecniche con la collana Alessandro Goppion Editore. È membro dell’American Association of Museums, nonché socio fondatore dell’Associazione Italiana di Studi Museologici, è patron della Bodleiana Library di Oxford e della Fondazione Luigi Rovati di Milano. È oggi Presidente di Goppion, dove continua a ispirare il personale dei musei e delle biblioteche di tutto il mondo, conducendo l’attività professionale con straordinaria energia, insieme alla moglie Patrizia Venturini e al figlio Bruno Goppion. Il 21 maggio 2015 è stato nominato Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica.